Dialogo – Piccoli inconvenienti prima della felicità

“Piccoli inconvenienti prima della felicità” è un libro che ti spinge a parlarne, inevitabilmente, e quando hai la fortuna di aver incontrato l’autrice, non puoi non parlarne con lei.
L’autrice Luciana De Palma è riuscita a stuzzicare la mia curiosità sin dalla presentazione alla libreria Luna di Sabbia a Trani. La mia recensione dimostra quanto il libro mi abbia conquistato. La voglia di scoprire qualcosa in più sulla storia è cresciuta, così ho invitato Luciana a parlarne in questo dialogo.
Sono molto contento che lei abbia accettato l’invito perché è stata una chiacchierata sorprendente, abbiamo toccato diversi punti cruciali. Luciana mi ha portato nel suo mondo e ci siamo ritrovati accanto a “persone” in carne ed ossa, ha perfino fatto partecipare la protagonista Titina ma non svelo di più.
Ecco la nostra chiacchierata.


Renato Mite
Luciana De Palma
Ciao Luciana, benvenuta. Ti ringrazio per aver accettato il mio invito, mi fa piacere averti ospite nel blog.
Come si capisce dalla recensione, il tuo “Piccoli inconvenienti prima della felicità” mi ha catturato e da qui la voglia di parlarne con te.
Scegliere il primo argomento da trattare non è facile, la storia offre molti spunti, allora parto da quello che a me sembra il leitmotiv: l’incontro-scontro fra l’orgoglio di Titina e il Destino.
Così mi ricollego a un concetto che hai accennato anche durante la presentazione del libro alla “Luna di Sabbia” ossia il concetto che siamo ciò che siamo senza doverci pensare su.
Mi riferico a una frase in particolare del tuo libro.

Il destino è nel modo in cui si fa quello che non si può evitare di fare.

Vorrei sapere di più del tuo concetto per cui agiamo nel solo modo in cui scaturisce naturalmente da dentro di noi e come ciò caratterizza Titina.

Ciao Renato, grazie per l’opportunità di parlare del mio ultimo romanzo. La questione del destino, se esista o se è solo frutto delle nostre scelte, è una di quelle imprescindibili per tutti noi, impossibile da ignorare o evitare. La mia esperienza mi ha portato a ritenere che senza una spinta da parte nostra nulla può iniziare davvero. Ci sono occasioni che vanno colte, prospettive che devono essere riconosciute, situazioni in cui ci si deve immergere con la ragione e con l’istinto. Il destino è un miscuglio inafferrabile di decisioni e di improvvisazioni fatali e comunque noi siamo una parte fondamentale perché accada ciò che non si può evitare.
In effetti io credo che siamo in parte artefici del nostro destino e dobbiamo saper accettare ciò che sfugge al nostro controllo.
Titina parla più volte del destino. All’inizio dice che “bisogna meritarsi il proprio destino, conquistarlo, come si fa con i clienti buoni”.
Più avanti nella storia, quando c’è l’incomprensione con Ciccillo che rischia di far saltare il matrimonio, paragona le sue azioni per ricucire il rapporto a quelle della sarta perché “può capitare, cucendo, che proprio sul più bello il filo si spezzi”. Ho apprezzato questo passaggio ricco di metafore dove l’orgoglio della donna sembra smussarsi appena e il destino appare, secondo me, come un filo.
La metafora è più evidente in un altro periodo dove lei si identifica con il destino e con il filo.

Il mio destino non sarebbe stato di nessun altro, era nato con me e io sarei morta con lui, perciò dovevo fare del mio meglio nel tempo che mi sarebbe stato concesso. È questo che ho cercato d’insegnare alle mie figlie, sentirsi come un filo che unisce i lembi di una stoffa preziosa per realizzare alla fine l’abito più bello.

Ritengo che Titina metta da parte l’orgoglio anche quando dice “solo un sarto provetto si punge con l’ago” e quindi mi sorge una curiosità.
La madre di Titina cerca di frenare il suo orgoglio in più occasioni e lei cerca di insegnare l’umiltà alle sue figlie.
Nella tua visione, Titina impara a gestire il proprio orgoglio grazie a sua madre o alle sue esperienze? E le esperienze lo smussano davvero?

Sono convinta che Titina non abbia mai, fino alla fine della sua vita, smussato il suo feroce orgoglio di cui con l’età ha compreso i limiti, ma anche i pregi poiché non è mai stato per lei uno strumento di prevaricazione o di offesa nei riguardi degli altri, ma sempre un modo per tenere viva la sua intenzione di superare se stessa, di fare meglio ciò che gli atri facevano bene. L’orgoglio deve essere la misura di una competizione con se stessi e non la sfacciata dominazione degli altri.
Ben detto, dobbiamo sempre tendere a migliorare noi stessi.
A tal proposito, mi torna in mente un passo in cui Titina dice che ripeteva sempre “dovete cercare persone migliori di voi” alle figlie e alle ragazze che andavano a imparare il mestiere da lei.
Un concetto simile lo dice spesso anche mia madre, forse è un principio di altri tempi che è bene tramandare.
Vorrei parlare proprio delle figlie di Titina, così diverse eppure unite, a cui lei pian piano lascia la scena.
Mi piacerebbe sapere come le descriveresti in breve, magari facendo trapelare qualcosa del loro carattere che non si legge nel libro, e se hai pensato per un momento che una di loro potesse seguire le orme da sarta di Titina.
Dunque, Antonietta è la maggiore delle sue figlie, ama lo studio quanto Titina quando era scolara; a volte si sente schiacciata dalla responsabilità che le è stata addossata, quella di fungere da seconda madre delle sorelle minori di cui è molto più grande e di questo peso forse avrebbe fatto volentieri a meno. Rachele è la seconda, l’inafferrabile: è molto riflessiva, schiva e tiene moltissimo a marcare il confine tra sé e gli altri affinché nessuno, di cui non abbia piena stima, invada il suo terreno. Alla fine c’è Filomena su cui sembrano accanirsi i doveri stabiliti dal resto del mondo; è una istintiva e sempre alla ricerca di un modo per essere amata. Non ho mai pensato di far proseguire il lavoro di sartoria ad una di loro e, consentimi una battuta, se pure l’avessi per un attimo pensato, Titina, che voleva per tutte e tre il raggiungimento della laurea, non me l’avrebbe permesso!
Battute come questa sono ben accette.
Mi piace sempre quando i personaggi sono tanto “autonomi” che sembrano dotati di vita propria e impongono una direzione alla storia. E Titina lo è senz’altro. Ricordo che una delle figlie voleva vendere pomodori piuttosto che andare a scuola ma lei è stata irremovibile sull’argomento.
La forza di questa donna sta pure nel saper riconoscere gli eventi avversi della vita senza farsi abbattare, e in tal modo riesce a godersi quei brevi momenti di felicità. Credo che il titolo del libro “Piccoli inconvenienti prima della felicità” riassuma questa sua capacità, dove con “piccoli” non si vuole sminuire i problemi bensì guardare alla “felicità” come qualcosa di più grande, seppur rara.
Spero di aver interpretato bene il titolo.
Prima di parlare della felicità, dovremmo quindi parlare un attimo degli inconvenienti. Come quando si apprezza la luce solo dopo aver sperimentato il buio.
Mi riferisco all’evento forse più grave della storia, ossia la morte del primogenito Vito a pochi mesi di vita. Un bambino rimasto scolpito nella memoria di Titina.
Ti lascio la parola, sentiti libera di dire ciò che vuoi su questo lutto e le sue conseguenze emotive.
La morte del suo primo figlio sarà per Titina un dolore che non riuscirà mai a sanare e con il quale sarà per lei sempre difficile convivere. Spesso nel libro ritorna il ricordo di Vito, questo il suo nome, e ogni volta la ferita si apre e sanguina. C’è però una circostanza in cui il dolore del figlio morto diventa luogo di confronto e crescita spirituale ed è quando Titina si rende conto che la zia di suo marito, la dolcissima zia Grazia, che pure ha perso un figlio molto piccolo, è riuscita alla fine a dare senso a questo lutto da cui non si è fatta abbattere, benché il figlio perso sia stato l’unico figlio avuto, a differenza di Titina che ne avrà altri tre.
Vorrei riportare le parole del libro per essere più precisa.

Tutte e due avevamo perso un figlio, tutte e due avevamo ferite che non sarebbero mai guarite, ma lei aveva fatto la pace con il dolore. Aveva accettato la sofferenza senza l’ostilità dell’orgoglio ferito che non si rassegna. Il suo cuore era così immenso da contenere persino la morte. Zia Grazia era talmente umile e paziente che fu la morte, alla fine, a soccombere al suo desiderio di vita.

Sarebbe difficile trovare parole migliori. Hai dato un’idea precisa di come si possa dare senso a un lutto. Il concetto chiave è proprio quello di accettare la sofferenza, accoglierla con l’amore e il desiderio di vita.
Mi ha colpito molto il modo in cui Titina ricorda Vito nelle ultime pagine del libro e credo sia giunto il momento di parlare di un altro protagonista, anche lui soffre ma tiene molto dentro.
Lo abbiamo menzionato un paio di volte. Sto pensando al marito di Titina, appunto.
Ciccillo sembra aver ereditato le qualità della sua famiglia, e come la zia Grazia è dotato di umiltà, pazienza e un grande cuore. Parla poco e sa prodigarsi per le figlie.
Nel leggere il libro, ogni lettore avrà una sua opinione su di lui.
Si dice che dietro ogni grande uomo ci sia una grande donna, io penso che qui si debba capovolgere la frase: dietro una grande donna c’è un grande uomo. Direi che lui resta un passo indietro ma è comunque al suo fianco, si compensano.
Ora vorrei la tua opinione. Cosa mi dici del carattere di Ciccillo che non traspare dal libro e solo tu sai?
Ciccillo possiede, come tu hai ben scritto, umiltà, pazienza e gran cuore. Sono molte le situazioni in cui la sua calma ha arginato l’intemperanza di Titina. Poi ci sono due situazioni in cui anche lui fa emergere aspetti più ‘terreni’ e meno ‘angelici’ del suo carattere. In quelle circostanze Titina ha avuto timore di ciò che sarebbe potuto succedere e sinceramente anche io, spaventata, temendo queste reazioni improvvise e violente da parte di Ciccillo, mi sono dovuta mettere dietro le spalle di Titina.
Scherzi a parte, credo di aver definito la figura di Ciccillo in toto, non ho lasciato nulla che non fosse rivelato di lui nelle pagine del romanzo. Però sento che tu hai scoperto qualcosa di lui che forse né io né Titina conosciamo… Lo chiediamo a te! Cosa sai che noi non sappiamo?
Signore, sono lieto di soddisfare la vostra curiosità!
Forse sono influenzato dalla mia storia personale, ma direi che Ciccillo possiede una forte sensibilità.
Mi viene in mente l’episodio in cui rinuncia a sposare Titina, anche a costo di perderla, per salvaguardare la sua rispettabilità. Per me è un chiaro esempio.
A proposito di quelle reazioni di cui parlavi, quando uno è buono tende a reprimere ma se è sensibile soffre più di quanto gli altri possano capire. Quindi quando arriva lo sfogo, può essere, o meglio può apparire, sproporzionato. Non giustifico tali reazioni e non lo fa pure lui. Difatti Ciccillo dimostra sensi di colpa al riguardo e Titina lo capisce anche se lui parla poco.
Questo è l’altro punto interessante. Credo che Ciccillo sia una di quelle persone che avrebbero più da dire ma parlano meno, probabilmente non sa esprimersi a parole come vorrebbe. Esprime l’affetto più con i gesti.
Credo che sia un uomo profondo quanto Titina. Se lui avesse studiato di più e scritto un libro di memorie, non mi stupirei di leggere perle di saggezza al pari di sua moglie.
Significativo è il fatto che quando non può più parlare, fa di tutto per esprimersi e anche stavolta Titina lo capisce. I due sono in sintonia.
E adesso, per tornare al tema della felicità, faccio io una domanda secca: qual è l’evento più felice nella vita di Titina e perché?
Mi piace il tuo ritratto di Ciccillo e a Titina pure! Sebbene nessuno può averlo conosciuto meglio di sua moglie, vero?
Per quanto riguarda l’evento più felice nella vita di Titina ho chiesto a lei direttamente e mi ha detto di riferire a te e a tutti quelli che leggeranno il libro che è stata molto orgogliosa delle sue figlie che l’hanno sempre resa felicissima per tutto ciò che sono riuscite a realizzare nelle loro vite. Ci sono state molte occasioni di felicità e tutte straordinarie. Penso che ciò che l’abbia davvero resa felice non sia stato un evento in particolare, ma l’aver sempre cercato di essere migliore di quello che lei stessa credeva di poter essere. Competere con se stessa per meritare la felicità che sarebbe derivata dal sapere di non aver sprecato mai la sua vita!
Già, proprio vero, lungi da me avere l’ultima parola. Titina lo conosce meglio di chiunque altro e sa cose che non si possono esprimere a parole, ce ne vorrebbero tante che si perde il filo.
Questo suo punto di vista sulla felicità potrebbe riassumere il libro e il senso della vita che la storia contiene. Comunque meglio non fare troppe rivelazioni.
Io ho in mente un’occasione in cui Titina è stata particolarmente felice, ma proprio per non rovinare il piacere della lettura ai futuri lettori, direi che è il momento di concludere.
Ti ringrazio per la bella chiacchierata, per aver portato con te Titina e ti lascio la parola per dirci ancora qualcosa mentre ti saluto.
Magari puoi darci un’anticipazione sul tuo prossimo romanzo.
I commiati sono sempre dolorosi, sia con le persone in carne e ossa che con i personaggi che escono dalla penna e che poi acquistano tanta consistenza da diventare più veri delle persone vere.
È stato un bel chiacchierare il nostro, di libri e di ciò che attraverso i libri possiamo scoprire di noi, del mondo, della vita. Per questo ti ringrazio tantissimo dell’opportunità che mi hai dato e per la stima e la cura che hai dimostrato per “Piccoli inconvenienti prima della felicità”, Les Flaneurs edizioni. Spero di aver incuriosito chi non ha ancora letto questo mio romanzo: il mio invito è di farlo perché sono certa che non deluderà e poi perché arriverà il quarto romanzo con il quale vi porterò lontano, lontanissimo dall’Italia, in una storia che sa di sabbia, crateri e dell’incanto delle parole.
A voi, dunque, buona lettura! Di qualunque libro si tratti, sarà sempre un viaggio straordinario!

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