Recensione – Il canto della falena

Copertina Il canto della falena
Il canto della falena di Maria Elisa Aloisi

Recensione

Le cose si mettono male per Speranza Barone, accusata dell’omicidio del marito, perché l’avvocato Cristoforo Dito, peraltro un cugino, non è molto esperto.
Il tempo stringe e bisogna ribattere con forza alle accuse fondate su tracce di DNA rinvenute nella villa dove è stato scoperto il cadavere.
I famigliari della donna decidono allora di assumere un altro avvocato che affianchi Dito e puntano su Emilia Moncada, per gli amici Ilia.
Riluttante ad accettare il caso perché il processo comincia a breve ed è sotto la lente mediatica, Ilia si convince perché spinta dagli interessi dello studio e dal proprio senso di giustizia.
Ilia dovrà preparare la difesa della sua cliente barcamenandosi fra le incombenze quotidiane, altre pratiche legali e le insistenze di un giornalista che segue il caso di Speranza.
Per fortuna a sostenerla c’è sua zia Ofelia, sempre pronta ad accoglierla in casa per una cena e quattro chiacchiere.
A complicare la difesa di Speranza ci sono il fatto che lei e sua figlia Tecla dovevano subire il carattere violento del marito e la reticenza di suo padre per cui l’uomo lavorava come commercialista, forse curando interessi poco leciti.
Anche il giorno dell’omicidio, l’uomo aveva dato in escandescenze prima di allontanarsi nella villa sulle pendici dell’Etna. All’evento assiste anche la suocera di Speranza, mentre sua sorella decide di andare ad affrontare l’uomo.
Il processo si rivela difficoltoso e Ilia, da semplice collaboratrice, deve prendere le redini della difesa e puntare tutto nell’instillare il dubbio sulla colpevolezza della sua cliente.
Si avvale di riferimenti scientifici e legali per ridimensionare le tracce di DNA, corrispondenti solo in parte, e fa leva sulle testimonianze della sorella e della suocera di Speranza.
Alla fine, il processo è determinato proprio dalle donne e dalla loro capacità di fare fronte comune pur immobilizzate dal canto della falena.

Un plauso a Maria Elisa Aloisi è doveroso. L’autrice scrive con uno stile scorrevole e accattivante, in prima persona, e porta il lettore nei pensieri di Ilia Moncada fino a conoscerla a un livello intimo. Ci ritrae così una donna sensibile, fragile e caparbia allo stesso tempo. Una donna che mantiene le promesse, che ha delle ferree regole per svolgere la sua professione, ma non riesce a essere indifferente alle vicissitudini umane. Tolti i panni dell’avvocato, Ilia cerca la via giusta nelle proprie incombenze quotidiane con il suo carattere timido e un po’ chiuso.
Colpisce molto il rapporto con la zia Ofelia e l’essenza di Ilia si rivela anche con il suo passato. Ho apprezzato soprattuto la digressione sulla tradizione siciliana secondo cui i defunti portano doni nel giorno dei morti e la zia le faceva trovare i doni di sua madre.
Per quanto riguarda la trama e lo scioglimento dell’enigma, bisogna dire innanzitutto che sono di grande effetto e al contempo carichi di significato, questo spiega perché il romanzo ha vinto il premio Tedeschi 2021.
La Aloisi ha usato la sua professione di avvocato penalista per intessere uno scenario processuale che si fonda su evidenze scientifiche e si risolve con le parole dei vari testimoni, in uno scambio fra Ilia e il pubblico ministero a colpi di astuzie legali.
In questo modo spiccano dalle pagine i vari protagonisti e tematiche importanti.
I protagonisti, per lo più donne, spiccano con il loro carattere complesso e le dinamiche che li coinvolgono.
Alcuni personaggi secondari conferiscono un tocco di umorismo alla storia, come l’amica e collega Irene Marra, il segretario Mariano, l’avvocato Dito. Questo tocco di umorismo è necessario a smorzare la tensione drammatica della vicenda.
Fra le tematiche, oltre al risalto dato ai crimini dai mass media nel bene e nel male, l’autrice evidenzia con le idee di Ilia il diritto alla difesa dei colpevoli affinché abbiano un processo giusto e la distinzione fra verità materiale e verità processuale.
Soprattutto, però, il tema della violenza di genere si spande per tutto il libro e spinge a riflettere. Come la falena immobilizza con terrore la femmina della sua specie per accoppiarsi con violenza, così le donne coinvolte nella vicenda appaiono immobilizzate dall’uomo ucciso in un intreccio famigliare che rivela la loro forza e la loro debolezza.
In questa storia, le donne si supportano fra loro per qualcosa che va oltre la solidarietà femminile, oltre il senso di colpa e si concentra su una consapevolezza del dolore che amplifica la sofferenza. Mi hanno colpito molto le parole di Speranza Barone che descrive la falena come un insetto stupratore e credo sarà così per ogni lettore.
C’è un solo modo per limitare i danni e lenire la sofferenza, ma non posso svelare il finale.
La bravura dell’autrice si rivela nell’ingegnosa manipolazione delle donne per costruire una verità processuale che sorprende la stessa Ilia nel colpo di scena finale. Basta questo a spiegare perché consiglio la lettura di questo romanzo.



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