Dialogo – Nero Uomo

Si può dire che io e Marco Mancinelli, l’autore fra gli altri di “Nero Uomo”, dialoghiamo da quando ho scoperto il suo romanzo “Cyberblood” parecchio tempo fa.
Da allora ne abbiamo fatte di chiacchierate, più che altro sulla scrittura e come raggiungere i lettori.
Be’, questo è un modo.
I suoi romanzi hanno sempre un pizzico di ironia e le storie sono accattivanti, quindi gli ho proposto di parlare del suo “Nero Uomo” per capirne un po’ di più ed eccoci qui.
Un dialogo è uno scambio di battute che evolve in modo inaspettato, leggi e scopri come abbiamo scomodato pure Nietzsche.


Renato Mite
Marco Mancinelli
Quando ho letto “Nero Uomo” ho capito come fai a portare i lettori nelle tue storie. C’è sempre un protagonista un po’ impacciato e all’oscuro di ciò che succede intorno a sé in cui il lettore si rispecchia. Nel primo libro “Cyberblood” era l’hacker Dartmouth, qui invece, per una sorta di passaggio di testimone, è Matteo, un consulente hacker meno esperto. Il lettore entra con Matteo nel mondo di “Nero Uomo”, un mondo che definirei underground.
Portare il lettore all’interno della storia è la parte più complicata e delicata nel lavoro di uno scrittore. Esistono in effetti tanti stratagemmi e tecniche differenti per ottenere questo risultato, io mi affido ai personaggi. Faccio in modo che siano loro a condurre per mano il lettore attraverso i gangli della storia. Se poi il lettore inizia a provare empatia nei confronti del personaggio, il successo è assicurato due volte. In Nero Uomo ho utilizzato la figura dell’hacker proprio per creare una continuità con Cyberblood, dove c’erano Dartmouth e poi Jeremy che accompagnavano il lettore nel dipanarsi della trama, ma qui è stata anche una esigenza, visto che la narrazione è in prima persona e tutto quello che accade nella storia è ciò che Matteo vive sulla propria pelle.
I mondi nei miei romanzi sono sempre molto underground, con protagonisti disadattati e borderline, perché mi piace raccontare storie dal punto di vista di chi, in un certo senso, ha perso tutto o sta per perdere tutto, magari anche se stesso. Il motivo è semplice: quando sei disperato fai cose stupide e avventate, e cosa c’è di meglio di un bel racconto dove accadono vicende assurde e rocambolesche?
Già, anch’io metto sempre dell’azione nelle storie ma devo dire che tu sai fare delle miscele esplosive. Inseguimenti, sparatorie, intrusioni… Il tutto con una buona dose di ironia.
Una delle scene del libro che mi è piaciuta di più è quella in cui Anouche e Matteo vanno in trasferta a casa del giornalista Meyer per trovare lui e il computer portatile conteso da tutti.
La diversità fra l’esperta assassina e l’hacker inesperto di situazioni dove ci sono cadaveri genera una dinamica accattivante. La scena per me è memorabile, credo che tu avessi in mente la scena e poi hai mescolato i caratteri dei protagonisti per renderla vivida. Dimmi un po’.
In effetti mi piaceva l’idea di far ispezionare la casa a due persone differenti, generando situazioni un po’ grottesche ma cercando di mantenere alta la suspense. Anouche è molto più navigata e preparata, mentre Matteo, che già è riluttante di suo a ficcare il naso nella privacy altrui, a meno che non si tratti di dati digitali, è decisamente più impacciato e suggestionabile. La bellezza di avere personaggi diversi in una scena critica è che puoi mostrare al lettore comportamenti dissonanti, giocando sulla drammaticità o, come nel mio caso, sull’ironia.
In quella scena la tensione rimane alta perché c’è questo rapporto di contrasto tra i due protagonisti, che non si risparmiano rimproveri, frecciatine e accuse.
Per quanto riguarda l’ironia, io ho questa abitudine a non prendermi mai troppo sul serio, quindi credo sia inevitabile che gran parte dei miei personaggi ricorrano a questa arma per sdrammatizzare in parte gli eventi o per esorcizzare paure e paranoie.
Credo di capire. Vai avanti.
Prendi Anouche, ad esempio. Lei è chiaramente una sociopatica, organizzata e intelligente, e spesso fa cose davvero al limite quando deve ottenere risultati. Non disdegna di ricorrere a minacce, torture fisiche o psicologiche, furti, pestaggi e, ovviamente, omicidi. Se non possedesse una spiccata verve ironica, il lettore la percepirebbe come un personaggio totalmente spregevole e non si affezionerebbe a lei e alle sue bravate da bullo con i tacchi.
Alla fine tutto ruota sempre intorno ai personaggi e a come vivono le situazioni che io metto loro davanti. Sono convinto che la scena della perquisizione dell’appartamento abbia il suo punto di forza proprio nel rapporto tra Anouche e Matteo. Tu non credi che siano i personaggi il vero centro nevralgico di ogni narrazione?
Prima di rispondere, aggiungo che Anouche mi ha incantato anche perché è spregiudicata.
Parlando dei personaggi, la questione fra loro e la trama è annosa.
Io non so ancora quale sia al centro ma tendo a pensare che certe storie possono accadere solo a certe persone. I tuoi libri ne sono una conferma. Anouche soprattutto.
Se hai le abilità per riconoscere assassini mercenari e il fegato di rapirne uno, per forza di cose ti ritrovi in certe storie.
Lei e Dartmouth sembrano spinti da interessi personali ed economici, tanto che in una delle prime battute che Anouche rivolge a Matteo dice:

«Non ce l’abbiamo con te, ma ci sei capitato tra le palle e adesso dobbiamo trovare il modo migliore per gestirti. Cercheremo di mantenerti vivo il più a lungo possibile se ci riusciamo, ma sia chiaro: quando avremo la certezza che non rischiamo di rimanere coinvolti, ti lasceremo andare per la tua strada.»

L’evolversi della storia mostrerà, però, che Anouche, Matteo e Dartmouth non sono immuni al cambiamento. Andranno al di là di interessi personali per sostentersi l’un l’altro. Anche se poi l’occassione fa l’uomo ladro. Non voglio svelare il finale, ma anche lì Matteo dimostra un cambiamento, seppur non proprio in meglio. La storia si palesa nel cambiamento.

Credo che il cambiamento debba essere una prerogativa di ogni personaggio. Se il tuo protagonista non evolve insieme alla storia, almeno un pochino, forse vuol dire che tu scrittore non sei riuscito ad inserirlo come si deve nel contesto narrativo. Anouche e Dartmouth sono due personaggi molto borderline, ognuno a modo proprio. Seguono poche regole, tutte molto personali, ma hanno un forte legame tra loro: credono nell’amicizia e nell’aiutare i compagni. Se ricordi Cyberblood, questo aspetto lì è molto più evidente: Antony fa di tutto per ritrovare Dartmouth e Anouche scende a compromessi anche con se stessa per andare dietro ad Antony in questa sua ricerca disperata. In Nero Uomo abbiamo due personaggi totalmente rapiti dalle loro attività e assorbiti dai loro interessi, Anouche e Dartmouth, che alla fine rimangono comunque coinvolti emotivamente nella vicenda di Matteo, tanto che metteranno a repentaglio la propria sicurezza pur di arrivare tutti insieme alla risoluzione della vicenda.
Ah, approfitto di questo argomento per fare una anticipazione sul prossimo romanzo: nel terzo capitolo della saga, ambientato un anno prima gli eventi narrati in Nero Uomo, scopriremo anche perché Antony ha dovuto lasciare Roma.
Per quanto riguarda il cambiamento di Matteo, che è quello più radicale, direi che qui vale il famoso pensiero di Nietzsche: “e se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te”.
Non avrei mai pensato che saremmo arrivati a Nietzsche, mi fa piacere. Io ho letto “Così parlò Zarathustra” molto tempo fa e mi è rimasto impresso l’ideale direi complementare, ovvero il superuomo, colui che va oltre gli interessi puramente venali. In realtà anche se la tua storia riguarda una sorta di ricerca del tesoro virtuale, c’è molta di questa componente umana. Mi ricordo di Cyberblood e di questo attaccamento fra i personaggi che ho apprezzato, li rende molto vivi, se mi passi il termine.
Il bello di questi personaggi, compreso Antony con il suo caratteraccio, è appunto che fra le righe ti portano a riflettere su temi quali la lealtà e l’amicizia.
Dobbiamo, però, dire che le tue storie sono molto colorite, nel linguaggio come pure nelle scene, e che la storia di “Nero Uomo” ruota intorno ad una giornalista scomparsa e ad un computer che vale molto. Un computer cercato dai mercenari e dai protagonisti, per questo Matteo, Anouche e Dartmouth devono addentrarsi in quel mondo underground che dicevo all’inizio. In un certo senso la ricerca del virtuale conduce al tangibile, alla realtà, più di quanto si pensi. Come quando entrano nel covo degli hacker a cui Dartmouth appartiene.
Ogni ricerca conduce sempre ad una duplice destinazione. Matteo, cercando le prove in un computer, troverà la verità su una storia torbida e drammatica, ma troverà anche se stesso, il vero sé. In un certo senso, si potrebbe parlare di una vera e propria ricerca catartica. Solo al contrario. E infatti, alla fine del suo percorso, il personaggio non avrà l’anima ripulita dalla contaminazione, ma sarà più contaminato di quando era partito.
Per quanto riguarda il registro linguistico che ho utilizzato, in questa serie di romanzi mi sono imposto di ricreare quanto più possibile dei dialoghi che risultino reali e credibili. Avendo a che fare con omicidi, torture, effrazioni, pedinamenti, assassini e picchiatori dovevo piegare il linguaggio a questo mondo e far parlare i miei personaggi come accadrebbe nella realtà della strada. La stessa cosa vale per le scene: se devi descrivere una tortura, in un contesto come quello di Nero Uomo, non puoi andarci leggero, altrimenti il lettore si sentirà preso in giro. In ogni caso, così come accadeva anche in Cyberblood, ho alleggerito un po’ le situazioni ricorrendo all’arma dell’ironia, grazie a certe battute sagaci e ciniche di Anouche e ad alcuni momenti di incertezza e imbarazzo di Matteo. Così tutto il romanzo è giocato tra il serio e il non prendersi troppo sul serio. Ma in un certo senso sono i personaggi stessi a richiederlo, altrimenti sarei stato costretto a descriverli molto più cupi e oscuri di quanto non siano già. E forse i lettori non si sarebbero affezionati alle loro gesta fino in fondo.
Io mi sono affezionato, te lo confermo, e con questo dialogo mi sento di più nella storia. In effetti non avresti potuto fare diversamente. A me sembra che Anouche possa sbucarci alle spalle e prenderci a calci per qualcosa che abbiamo detto sul suo conto.
Io finirei qui, perché rischiamo anche di rovinare la lettura di “Nero Uomo” facendo spoiler.
Ti ringrazio per aver accettato il mio invito e per questa bella chiacchierata che ne è venuta fuori. Credo che tu possa tenere a bada Anouche, rischia un po’ e aggiungi qualcosa se ti va.
Grazie a te per il tuo tempo e per lo spazio che mi hai dedicato. Parlare dei propri libri è sempre un gran piacere, perché in fondo è come se parlassimo dei nostri figli. Sono le nostre creature, che lasciamo volentieri all’abbraccio dei lettori, proprio come un figlio ormai grande che lascia la casa dove è nato e inizia a cimentarsi con le difficoltà della vita, fuori dal riparo del nido famigliare. Parlarne è come coccolarlo, in un certo senso, e sentirlo di nuovo vicino. E io sono uno che crede che i libri vadano coccolati e viziati, perché se li trattiamo bene sono in grado di restituirci gioie ed emozioni davvero grandi. Se Anouche mi sentisse parlare in questo modo, un paio di calci tra i denti non me li toglierebbe nessuno! Quindi meglio finirla qui: non è saggio farla innervosire. Non sai mai come andrà a finire, quando c’è lei in giro.


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